Yuval Noah Harari, Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani, 2014.
Recensione di Simone Barcelli
Yuval Noah Harari, uno scrittore israeliano laureato in storia, è il nome del momento. Di lui si comincia a discutere da qualche anno, all’uscita di From Animals into Gods: A Brief History of Humankind, che in breve cavalca le classifiche di vendita diventando infine un best-seller, tradotto un po’ in tutto il mondo.
In Italia è Bompiani che ci regala (si fa per dire) queste cinquecento e passa pagine della versione italiana Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, uscito nel mese di maggio 2014.
Jared Diamond, Premio Pulitzer autore di Armi, acciaio e malattie (diventato ormai un classico), non lesina complimenti al giovane collega: “Da animali a dèi… affronta i più grandi interrogativi della storia e del mondo moderno e lo fa con un linguaggio vivido e indelebile…”.
E già, il libro è proprio questo: un bel condensato della nostra scellerata esistenza su questo pianeta, con l’autore che riesce a catturare già dalle prime pagine il lettore grazie a una scrittura semplice, lineare, avvincente.
Harari si interroga, tra le pieghe del libro, sui tanti avvenimenti che hanno contrassegnato il genere umano durante i millenni, portando in luce le immancabili incongruenze disseminate sul percorso che hanno condotto all’attuale civiltà.
L’autore, forte di una preparazione multidisciplinare che spesso sconfina nell’economia, nell’alta finanza e nella statistica, è convinto che buona parte del nostro passato sia una pura invenzione della fervida immaginazione di alcuni nostri antenati, bravi a raccontare storie e convincere gli altri che fossero vere.
È così che l’Homo Sapiens si è convinto dell’esistenza di cose che esistono solo nella nostra immaginazione: divinità, diritto divino dei regnanti, leggi, sovranità dei popoli, nazioni, società commerciali e soldi. La capacità di raccontare queste incredibili e complesse storie e indurre una moltitudine a crederci, è in fondo l’immenso potere che detiene la nostra specie poiché, come scrive l’autore, “fa sì che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni”.
E questo è quel che ci differenzia dalle altre specie terrestri. La capacità di creare una realtà immaginaria, secondo Harari, è una rivoluzione cognitiva che proviene dalle parole (ma anche la scrittura negli ultimi cinque millenni, secondo noi, può aver dato un contributo determinante) che, oltre a essere il mezzo principe della trasmissione delle informazioni necessarie per chi vive in gruppo, inevitabilmente finiscono per veicolare anche altre manifestazioni provenienti dai recessi più oscuri della nostra mente.
Per ottenere un consenso sempre più unanime, la nostra esistenza pare costellata di personaggi in grado di adattare queste storie ogni qualvolta ce ne fosse stato bisogno (pensiamo ai racconti mitologici), come se in fondo andassero incontro al volere della moltitudine.
Ecco che le storie anche improbabili diventano col tempo accettabili in ogni dove con l’aggiunta di particolari differenti che, a quanto pare, sono graditi e sufficienti per convincere tutti della bontà dei racconti. L’autore si interroga anche sul passaggio fondamentale da raccoglitori-cacciatori ad agricoltori (quindi l’ingresso nel Neolitico), convinto che da quest’altra rivoluzione le capacità cognitive siano rapidamente scemate poiché i nostri avi, inseriti in gruppi sempre più numerosi, si sono specializzati in mansioni semplici e ripetitive, delegando il resto ad altri “specialisti”.
Una sconfitta, insomma, se si pensa che proprio allora l’uomo stanziale cominciò a interrogarsi sul futuro (“la preoccupazione si radicava non soltanto nei cicli stagionali della produzione, ma anche nella fondamentale incertezza del sistema agricolo”), a differenza del raccoglitore-cacciatore la cui unica preoccupazione era procurarsi il cibo e un riparo per la notte.
Un altro tema che troverete sulle pagine di questo volume è quello delle responsabilità del genere umano nell’estinzione della megafauna, nonostante ancor oggi si preferisca attribuire questo e altri disastri ecologici alle bizzarrie climatiche: un’altra invenzione della nostra mente per scagionarci dalle responsabilità. E qui Harari non fa distinzione tra raccoglitori-cacciarori o agricoltori, tutti hanno fatto la loro parte per distruggere, forse anche inconsapevolmente, l’ambiente circostante. La rivoluzione industriale, in tal senso, è l’ultimo atto della tragedia.
L’analisi dell’autore si spinge, a tratti anche con veemenza, a demolire i credi religiosi, quando cerca di dimostrare come questi si siano adattati così bene, alla bisogna, modellando alle esigenze i propri pantheon per accontentare tutti (l’esempio dei Romani al tempo dell’Impero appare credibile), salvo poi trasformarsi in un battibaleno da politeiste a monoteiste.
Interessante l’analisi che rivela come la storia del genere umano, soprattutto dal Medioevo in poi, sia stata indirizzata dalle spinte espansionistiche dei regnanti (imperi e ordini religioni) alla cerca di ingenti profitti economici (il capitalismo, la nascita delle banche e il conio delle monete come armi per detenere il potere), che hanno condizionato non solo le vite di molte popolazioni “indigene” ma anche il cammino della scienza e del progresso, i cui rappresentanti sono stati spesso ingannati, manipolati o costretti a scendere a patti con i detentori del potere. Un po’ quello che succede ancor oggi, in un contesto dominato dalle multinazionali.
L’uomo è diventato dio, ma va ancora in cerca di verità elementari. La sua immaginazione è ben descritta dall’autore in questo passaggio: “Benché l’ordine immaginario esista solo nelle nostre menti, esso può essere intessuto nella realtà materiale, e persino scolpito nella pietra”.
Tra i tanti meriti di questo autore, e di questo bel libro, la capacità di abbracciare tutto il nostro passato in un colpo solo e restituirlo nella sua essenza, focalizzando i fatti salienti che hanno contraddistinto il nostro cammino fino a oggi. Nel bene e soprattutto nel male.
Un testo essenziale per comprendere dove stiamo andando.