Riccardo Coltri, La corsa selvatica, Edizioni XII, 2010.
Recensione di Simone Barcelli
Riccardo Coltri, in questo suo romanzo, ci introduce in un mondo che può apparire surreale ma in fondo non lo è affatto.
Attingendo a piene mani dai racconti popolari, che qualche barlume di verità devono pur contenere, ci prende per mano e ci trascina tra meravigliosi (e tragici) paesaggi nevosi, a un tiro di schioppo dai confini col Tirolo, in quel Regno d’Italia che muoveva i primi difficoltosi passi.
La leggenda sembra farsi realtà quando un incubo torna prepotente dal passato e minaccia l’esistenza della gente, solamente in apparenza semplice, di alcuni borghi.
Sfogliando libri maledetti ed evocando formule proibite, qualche sventurato aprirà la porta di una specie di inframondo. Nessuno potrà più chiudere occhio, nemmeno gli agenti speciali dell’esercito, pur dotati di poteri paranormali, inviati sul posto a investigare.
L’autore è bravo nel descrivere i numerosi personaggi che animano la sua storia, con parole che sembrano rapide pennellate su una tela, nervosi schizzi in rigoroso bianco e nero.
Le figure che si avvicendano tra le pagine, il lettore non se ne accorgerà immediatamente, mai assurgeranno al ruolo di protagonista: saranno, in quel sottile filo conduttore che lega comunque la loro tragica esistenza, delle semplici comparse della corsa selvatica di un demone che, in modo sistematico, travolgerà ogni resistenza.
La malvagia divinità, quasi fosse un fantasma in piena regola, si muoverà furtiva nella notte, introdotta da quel silenzio fuori dal normale che tutti noi, almeno una volta, abbiamo avvertito come foriero di imminente disgrazia.
Non sarà solo nel portare a termine la sua diabolica opera perché, al suo fianco, correranno cani, voleranno corvi e anche i ratti non mancheranno di fare la loro parte.
Ma non solo loro. Leggere per credere.