Franco Cardini, Il Santo Graal, Giunti,2006.
Recensione di Simonetta Santandrea
A livello letterario la ricerca del Graal è solo una bella avventura cavalleresca, ma a livello allegorico essa è il racconto del processo che conduce alla conquista della sapienza.
Ma si tratta di una ricerca infinita: il Graal resta ineffabile e insondabile, e tale ineffabilità permane il nucleo ultimo del suo mistero.
Franco Cardini stesso, su «Lo Stato» del 24 marzo 1998, traccia la storia del “graal”:
“La parola graal è misteriosa ma non troppo. Negli idiomi di tipo celtico termini affini rinviano a normali suppellettili da tavola, sorta di grossi e profondi piatti di portata o di grandi coppe. La “grolla” valdostana è parente lessicalmente stretta del graal; e il greco krater gli è almeno affine. Nel penultimo decennio del XII secolo, un poeta di corte della contessa di Champagne, Chrétien di Troyes, redasse un romanzo in versi, il Perceval,in cui si narrava l’educazione iniziatico-cavalleresca d’un giovane selvaggio gallese. La scena-madre di quel romanzo era la “processione del graal” nel castello del misterioso Re Pescatore. In quel contesto figurava non il Graal, bensì un graal: un recipiente qualsiasi, ma d’oro puro tempestato di gemme e di arcano splendore. Si sarebbe poi saputo che all’interno di quel graal c’era un’ostia, che bastava a nutrire il signore del castello affetto da un’inquietante malattia. Nei secoli XII-XIII la Chiesa latina, insidiata dall’eresia catara, stava sviluppando una robusta teologia eucaristica e incoraggiando una forte devozione al mistero dell’altare. In effetti, lungo tutto il medioevo, il Graal per eccellenza si collegò all’eucarestia: e quindi l’oggetto fu considerato ora il piatto nel quale Gesù aveva mangiato l’agnello pasquale, ora la coppa nella quale durante l’Ultima Cena avrebbe consacrato il vino e che poi – secondo una leggenda posteriore, esemplificata su quella del legno della croce – sarebbe servita per raccogliere il sangue delle sue ferite durante la passione. Si sviluppò fra XIII e XV secolo una letteratura ciclica attorno al Graal: molti romanzieri continuarono l’opera di Chrétien, lasciata incompiuta, e aggiunsero una pluralità di episodi e di particolari al suo racconto collegando strettamente l’oggetto misterioso sia alle storie dei cavalieri della Tavola Rotonda, sia alle vicende – nate da alcuni vangeli apocrifi – riguardanti le sorti delle reliquie della Passione e il personaggio che li aveva raccolti e custoditi, quel Giuseppe d’Arimatea che aveva offerto al Salvatore il suo sepolcro nuovo e ne aveva curato la sepoltura. Ai primi del Duecento un poeta tedesco meridionale, Wolfram von Eschenbach, introdusse nel suo Parzival una variabile importante: il Graal aveva poco a che fare con il mondo celtico in cui l’aveva inserito Chrétien, era piuttosto qualcosa che veniva dall’Oriente (il che era congruo al suo rapporto col racconto evangelico) e il suo aspetto non era più quello d’una coppa bensì quello d’una pietra. Col tempo si andò diffondendo e divulgando un racconto-fiume anonimo, la cosiddetta vulgata, conosciuta anche come Lancelot Graal, che cercava di fondere tutte queste leggende. Oggi appare abbastanza sicuro che Chrétien e molti dei suoi continuatori, scrivendo del Graal, si rifacessero a una tradizione orale celtica tanto peninsulare (viva in Bretagna) quanto insulare (conosciuta in Galles e in Cornovaglia, con riscontri irlandesi e scozzesi): a una serie di narrazioni a carattere tanto mitico quanto storico che narravano ora le avventure di un oggetto magico (una versione del “recipiente dell’abbondanza” presente in molte mitologie indoeuropee dall’India vedica ai mondi germanico e scitico: la cornucopia elleno-romana ne è una variante), ora un complesso di miti relativi alla morte e alla rinascita stagionale della natura e ai rapporti tra vivi e defunti, ora la memoria di vicende accadute soprattutto tra il V e il VI secolo, negli anni cruciali della fine dell’impero romano e dell’arrivo dei germani angli e sassoni nelle terre secolarmente abitate dalle tribù celtiche. Ma il medioevo europeo, ne conservò solo il più evidente e semplice tratto eucaristico. Con la fine del Quattrocento, l’interesse per il Graal scomparve repentinamente. Il Graal riemerse alla fine del Settecento insieme con la voga neoceltistica che, con quella neogermanica, fu una delle scaturigini fondamentali del Romanticismo. Da allora in poi, il Graal sarebbe entrato come ingrediente primario a far parte della panoplia di oggetti-mito e oggetti-simbolo cari all’elaborazione esoterica e occultistica europea che dal Sette Ottocento a oggi conosce una serie infinita di variabili imparentate anche se spesso fieramente avverse l’una all’altra.”
Esce anche in edizione economica questo indispensabile lavoro sul Santo Graal nel quale in 229 pagine dense di riferimenti si analizza un tema tornato prepotentemente alla ribalta. In appendice anche un esaustivo elenco della filmografia sul Graal.