Giovanna Capucci, Un uomo qualunque, Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2022.
Recensione di Simonetta Santandrea
Ultima fatica letteraria, in ordine di tempo, per Giovanna Capucci, poetessa e scrittrice di romanzi, Un uomo qualunque respira attraverso tanti e diversi sapori letterari e artistici.
Leggendo di Azeglio Corsini, della sua mitezza divenuta arrendevolezza, della sua vulnerabilità divenuta debolezza, subito il pensiero corre al George Gray dell’Antologia di Spoon River (E. Lee Masters), ma molto di più a Zeno Cosini di Sveviana memoria (forti sono le citazioni dell’impianto narrativo e le assonanze, specie dell’anagrafica).
Azeglio è l’uomo arreso, che ha fame d’amore (primordialmente di quello materno) costantemente frenato e rassegnato alla forza prevaricatrice delle donne della sua vita: la madre, la moglie, la figlia.
È l’uomo desideroso di approvazione e di considerazione: consapevole della dolcezza di questi sentimenti, per averli ricevuti dalla nonna e dal padre, li cercherà ancora nella vita e sul lavoro, senza avere mai il tempo e il modo di gustarli sufficientemente.
Ha per compagni la silenziosa solitudine della canna da pesca e l’effimero stordimento del fiasco del vino, che culleranno i suoi momenti di triste svago, senza essergli sinceramente di sollievo, anzi conducendolo a una sorta di lento disfacimento fisico.
La storia della sua vita, narrata in terza persona con impianto tradizionale (narrazione in ordine cronologico) si fa sul finale più struggente: trasportato dagli eventi che non ha saputo gestire, ma solo subire, Azeglio trova cura, dolcezza e compassione in un luogo estraneo agli ambiti famigliari, dove però gli affetti sono spontanei, le relazioni naturali e semplici, i tempi scanditi dal piacere della condivisione.
La narrazione, forse a sottolineare la perpetua legittimità di questi sentimenti, passa dal tempo composto (imperfetto, passato prossimo) al tempo presente: mentre la vita di Azeglio volge al termine, il pacato e lento riscatto di uomo qualunque diventano una sorta di guarigione dalla malattia dell’arrendevolezza che schiaccia e obnubila fino all’incorporeità.
Fuori dal suo invisibile corpo terreno, Azeglio è un uomo libero.
Lo stile di Giovanna Capucci è sobrio, preciso ed efficace; la narrazione obiettiva dipinge i caratteri di quest’uomo inutile, immobile come le raffigurazioni delle Cattedrali di Rouen che Monet ci racconta in 31 dipinti dello stesso soggetto: differenti sono i momenti del giorno che illuminano la facciata della statica cattedrale, così come differenti sono gli eventi narrati della vita di questo protagonista, spettatore impassibile.